sabato 24 settembre 2011

La Castanicoltura italiana degli anni ’90. Una fotografia con qualche particolare interessante


Nel decennio 1980-’90, la castanicoltura italiana mostra un panorama di ampia valorizzazione: il castagno diventa importante da un punto di vista forestale e agricolo. Si tratta di una novità. 
Infatti, se pensiamo che tra gli anni ’60 e gli anni ’80 la castanicoltura in Italia si era ridotta moltissimo, è proprio nel decennio ’80-’90 che inizia la ripresa.

Vediamo ora cosa accade vent'anni fa nelle singole regioni. La premessa è che ci sono dei fenomeni che riguardano tutto il nostro paese, e che sono interessanti da rilevare. 

I punti comuni a tutte le regioni italiani sono i seguenti:
-         scarsa attenzione alla nuova impiantistica
-         poco risanamento delle castanicolture già avviate
-         sperimentazione già a inizio degli anni ’90 di colture ibiride eurogiapponesi
-         secondo i dati Istat, il 51% della produzione del castagno è dell'Italia meridionale.

Liguria
Nel 1993, è la seconda regione italiana con presenza di castagne dopo il Piemonte. Molti castagneti sono tuttavia abbandonati.

Piemonte
Ha una distribuzione ampia ma disomogenea. Secondo i dati Istat il castagno è soprattutto distribuito nella zona di Cuneo. La tendenza a realizzare castagneti nuovi è debole, le aziende sono piccole e in aree montane.

Valle d'Aosta
Il prodotto è venduto soprattutto fresco. C'è un intervento mirato di risanamento dei castagneti grazie alla legge regionale 30/84 come concessioni di conto capitale per castanicoltori e un coordinamento con Dipartimento delle colture arboree dell’Unversità di Torino.

Lombardia
C'è molto ‘cultivar’ ed ecotipi di marroni.

Trentino Alto Adige
Il castagno è distribuito soprattutto nella zona di Garda. Il prodotto è venduto fresco. Sono previsti con la legge provinciale 14/92 dei contributi fino al 90% per il recupero del prodotto attraverso potatura e risanamento di castagni degradati. Inoltre la provincia autonoma di Bolzano ha iniziato nel ‘97 un’opera di risanamento di vecchi castagneti e il progetto ha interessato 12.000 alberi.

Veneto
C’è vendita di prodotto fresco, e cultivar ed ecotipi.

Friuli Venezia Giulia
Sono avviati alcuni campi sperimentali nel Gemonese, mettendo a dimora cultivar europee e ibridi eurogiapponesi. Anche a Forgaria, Monteneras, Trasaghis. Ci sono nuovi impianti realizzati dalle comunità montane.

Emilia Romagna
Non c’è eccessiva espansione del cancro corticale e del mal d'inchiosto. Viene dato l’IGP per il marrone di Castel del Rio da parte della UE. Ci sono molte aziende attive soprattutto nel modenese e che danno vita a canali di attivazione di commercio con zone extraeuropea.

Marche
Diffusa la castanicoltura soprattutto ad Ascoli Piceno. C’è un miglioramento della malattie delle piante.

Toscana
Diffusa la castanicoltura soprattutto a Lucca, Massa Carrara, Arezzo. Famoso il marrone dell'Amiata. A Marradi lavora la ortofrutticola del Mugello che valorizza il marrone locale.

Umbria
Ha castanicoltura molto limitata, è presente a Città di Castello.

Lazio
Le zone principalmente legate alla castanicoltura sono Rieti e Viterbo. In provincia di Viterbo sono avviati nuovi impianti di fiorentini e di primaticcio. C’è stasi per il cancro del castagno. Episodiche le valorizzazioni del prodotto in tutte le regioni centrali. C’è una mancanza di strutture associative in grado di commercializzare il prodotto.

Campania
E’ la regione che dedica maggiore attenzione al castagno. Il rinnovo delle piante avviene solo in Campania e Basilicata. Interventi ibridi eurogiapponesi in Campania e Sicilia. Nel salernitano importante la produzione primitiva e si stanno diffondendo gli ibridi giapponesi.

Abruzzo
I divulgatori della castagna sono gli ARSSA locali.

Molise
ha stasi di mal d'inchiostro.

Puglia 
Quasi assente la castanicoltura fatta eccezione per un castagneto secolare in provincia di Foggia.

Basilicata
Ha in discussione la IGP del prodotto del Vulture. Sta avviando nuovi impianti.

Calabria
Sono in prova le ibridi eurogiapponesi. La regione ha un progetto di valorizzazione del castagno.

Sicilia
Attiva la sperimentazione eurogiaaponesi

Sardegna
Coltivazione quasi nulla

lunedì 19 settembre 2011

Quando nascono gli alberi del castagno? Piccole curiosità


Nell'ultimo interglaciale (Eemiano), almeno sulla base dei macrofissili esistenti in vari depositi italiani, esistevano due taxa di castagno: 

- Castanea sativa Mill
- Castanea Latifolia Sord.

Con l'ultima espansione glaciale è riuscito a sopravvivere un solo taxon, la Castanea Sativa Mill., come si può capire dai diagrammi pollinici di alcuni depositi studiati nel NE dell'Italia. Questi depositi risalgono alla fine del Pleistocene e all'inizio dell'Olocene, quando, cioè, era già avvenuta l'ultima espansione glaciale, e quando l'impatto antropico non si era ancora manifestato. 

L'azione antropica succesiva svolgerà un ruolo di selezione del bosco, favorendo e incrementando la coltivazione del castagno.

lunedì 12 settembre 2011

Gli alberi sono forse una macchina? Anche una macchina potrebbe dire ‘io’, ma non diventa per questo un organismo vivente


“Da tre anni piantava alberi in quella solitudine. Ne aveva piantati centomila. Di centomila, ne erano spuntati ventimila. Di quei ventimila, contava di perderne ancora la metà, a causa dei roditori o di tutto quel che c’è di imprevedibile nei disegni della Provvidenza. Restavano diecimila querce che sarebbero cresciute in quel posto dove prima non c’era nulla.
Bouffier aveva piantato, un anno, più di diecimila aceri. Morirono tutti. L’anno dopo, abbandonò gli aceri per riprendere i faggi che riuscirono ancora meglio delle querce.
Nel 1935, una vera e propria delegazione governativa venne a esaminare la foresta naturale. C’era un pezzo grosso delle Acque e Foreste, un deputato, dei tecnici. Fu deciso di fare qualcosa e, fortunatamente, non si fece nulla, tranne l’unica cosa utile: mettere la foresta sotto la tutela dello stato e proibire che si venisse a farne carbone. Perché era impossibile non restare soggiogati dalla bellezza di quei giovani alberi in piena salute”.

Jean Giono
“L’uomo che piantava gli alberi”

martedì 6 settembre 2011

Perché il Castagno si infuriò

In questi giorni di fine estate si stanno concludendo feste e sagre. Siamo in una atmosfera medievale da gioco, tornei e contrade. Se entriamo in contatto con questo mondo di manifestazioni storico-rievocative e cerimonie religiose, ci rendiamo conto che il castagno è stato proprio uno dei protagonisti storici del Medioevo. Nell’area dei Cimini, in particolare, questo albero ha dato vita alla trasformazione di un paesaggio silvo-pastorale in un ambiente produttivo e coltivato, già all’inizio dell’anno 1000. Con il castagno sono cresciute generazioni e generazioni di uomini e donne, per secoli.
Se l’albero del castagno è stato così centrale, vi chiederete, perché allora il nostro castagno è furioso. Perché?
Bisogna fare un passo indietro, evitando di creare indizi falsi o veri. Qualcuno infatti diceva che a “furia di creare indizi si rischia di diventare gamberi”. Facciamo allora solo un passo indietro per guardare da un’altra prospettiva.
Il castagno è prima di tutto un albero, non una macchina produttiva (e ringraziamo l’amico per Paolo per averci suggerito il termine ‘macchina’). Oggi, l’albero del castagno è infestato da un insetto, il cinipide, che crea gravi danni alla produzione di frutti e negli accrescimenti legnosi. Domani forse da un altro insetto che, secondo le stime, sarà ancora più dannoso.
Il movimento di persone che con questo blog e questa pagina di facebook accoglie la ‘furia’ del castagno, legittima, non ritiene opportuno fare un processo al cinipide né a qualsiasi altro insetto. Il nostro movimento non cerca di individuare un capro espiatorio. La letteratura giudiziaria è piena di storie di questo tipo, e, francamente a noi non interessano. Solo per fare un esempio si ricorderà che nella Grecia classica furono addirittura istruiti processi contro statue o edifici, contro oggetti quindi. Per non dire poi, a proposito degli insetti, che a partire dalla diatriba tra cicala e formica fino alle mosche e alle cavallette bibliche il panorama allegorico è quanto mai ampio. E poi ci sono addirittura i casi di scomunica verso i maggiolini che infestano la città di Avignone nel 1320 o il processo contro il Rychites auratus che attacca i vigneti di una località vicino al Moncenisio, nel 1545. Ecco tutto questo non interessa al Castagnofurioso.
Bisogna distinguere tra la sopravvivenza dell’albero antico e la produttività. Entrambe le cose sono importanti. E comprendiamo che le due sono profondamente legate, per il semplice fatto che la coltura del castagno ha dato vita ad una cultura e a un modello di vita rurale per anni e anni. Prima di tutto, però, il castagno è un albero e non una macchina produttiva. Senza la salvaguardia del castagno, dell’albero, non c’è e non ci potrà più essere neanche la produzione e una cultura rurale del castagno.
Ecco perché questo movimento. Siamo cittadini che amano gli alberi. Ecco perché il castagno è furioso.

DIVENTIAMO AMICI DEL CASTAGNOFURIOSO